di Caterina Mangia

A volte dire la verità uccide.
Sono 530, secondo i report dell’Unesco, i giornalisti assassinati negli ultimi cinque anni nel mondo per aver denunciato, dichiarato e ricercato verità e giustizia con i loro scritti e con la loro penna. In nove casi su dieci, la loro morte è rimasta impunita. Per fortuna, c’è chi non si lascia intimidire e lotta ancora per un’informazione senza catene. “La verità”, diceva Pasolini, “non sta in un solo sogno, ma in molti sogni”.
E’ ai giornalisti che hanno perso la vita, a coloro che rischiano di perderla e che sono imprigionati o minacciati, a chi combatte per esprimere la propria opinione, che sono dedicate la 25esima Giornata Mondiale per la Libertà di Stampa indetta dall’Onu, e l’undicesima Giornata della memoria dedicata ai giornalisti uccisi da mafie e terrorismo. Entrambe le ricorrenze cadono oggi.
Occasioni per riflettere sull’importanza di un’informazione indipendente, plurale, non intimidita: la salute del quarto potere influisce direttamente sulla vita politica degli Stati.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oggi ha espresso vicinanza e solidarietà ai «familiari, agli amici, ai compagni di vita e di lavoro, che hanno visto spezzare l’esistenza di un loro caro», aggiungendo, in riferimento ai giornalisti uccisi da mafie e terrorismo, che «è proprio grazie a questi uomini e a queste donne, al loro lavoro, che, dove prima vi era diffusa omertà, ora spesso sono presenti simboli delle associazioni impegnate contro la mafia. Dove vi era silenzio dettato dal timore, o dalla connivenza, ora vi sono le parole, forti e coraggiose, dei nostri ragazzi. Dove c’era indifferenza o rassegnazione, ora si insegna la legalità». Per Mattarella, «occorre proteggere le loro voci che rifiutano ogni sopraffazione».
Intanto, dalla classifica annuale di Reporters sans frontières, uscita la scorsa settimana, arrivano notizie timidamente positive sulla libertà di stampa italiana: il nostro Paese è passato al 46esimo posto su 180 Stati, rispetto al 52esimo dello stesso anno. Tuttavia, l’organizzazione ha precisato che le aggressioni e intimidazioni nei confronti dei reporter italiani sono «in aumento».
Sul fronte internazionale, a preoccupare in particolar modo Reporters sans frontières è «il modello cinese di controllo dei media»: Pechino, che si classifica 176esima su 180 Paesi per libertà di stampa, ha più di 50 giornalisti nelle sue prigioni, e starebbe «esportando i suoi metodi oppressivi» di censura.
Basti pensare che il Paese del Dragone sarebbe arrivato a considerare sovversivo persino il cartone animato “Peppa Pig”: secondo il quotidiano britannico Guardian, e il cinese Global Times, i video del cartoon, diventati virali, sono criticati in quanto espressione di strati sociali poco educati della popolazione.
Di fronte a qualsiasi tentativo di intimidazione o di censura, va richiamato alla mente Albert Camus: “Una stampa libera può essere buona o cattiva, ma senza libertà, la stampa non potrà mai essere altro che cattiva”.