Nella conferenza stampa di ieri la BCE – oltre a ribadire l’intenzione di mantenere i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale invariati per un prolungato periodo di tempo – ha confermato che il Consiglio direttivo «intende effettuare gli acquisti netti di attività, all’attuale ritmo mensile di 30 miliardi di euro, sino alla fine di settembre 2018, o anche oltre se necessario». L’intenzione della BCE è quindi di mantenere alta l’attenzione (anche alla luce del rallentamento economico osservato nel primo trimestre) rimandando ancora una volta l’allentamento delle misure convenzionali di politica monetaria, ovvero il mantenimento su livelli minimi dei tassi d’interesse, ma anche di quelle non convenzionali, come il Quantitative easing. Quest’ultimo, in particolare, è una misura adottata dalle banche centrali (lo ha fatto anche la FED) per immettere liquidità nel sistema, stimolando l’economia. Tra i vari effetti desiderati, la misura avrebbe dovuto allentare il credit cruch, ovvero la morsa delle banche al credito concesso al settore privato, ma in Italia ancora oggii risultati veri a propri sul fronte creditizio tardano ad arrivare. Come conferma un’analisi del Centro Studi Impresa Lavoro, da noi lo strumento del Quantitative Easing, paradossalmente, ha ristretto l’accesso al credito. Basandosi su dati del Sistema Europeo Banche Centrali, lo studio spiega che nel corso degli ultimi dieci anni le banche italiane hanno visto crescere i propri depositi del 67%, un risultato che ci pone al quarto posto in Europa. In termini assoluti si parla di 1.023,4 miliardi in più rispetto al 2007, ma di questi solo un quarto è servita per finanziare famiglie e imprese, mentre la maggior parte è stata utilizzata per triplicare l’esposizione in titoli di Stato. Non a caso, se si guarda alla classifica relativo all’impiego ti tali risorse per prestiti bancari a famiglie e imprese, il nostro Paese si colloca nella metà bassa della classifica, riportando una crescita del 19% in dieci anni. Quel che è peggio, è che nel periodo che va dall’adozione del Quantitative easing(nel marzo del 2015) a marzo 2017 i prestiti bancari a famiglie e imprese sono diminuiti del 3% (-49,3 miliardi), contro gli aumenti rilevati in mezza Europa. Il problema, spiega il presidente del Centro Studi Massimo Blasoni è «la radicale trasformazione del modello di business delle nostre banche rispetto ai livelli pre-crisi» incentrata, appunto, più sull’impiego in titoli di Stato e obbligazionari rispetto agli impieghi a favore di famiglie e imprese. Per questo Blasoni parla di «un’altra preziosa occasione andata persa».