di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Otello Montanari, partigiano comunista, dirigente e poi deputato del Pci, si è spento pochi giorni fa a Reggio Emilia, all’età di 91 anni. Aveva suscitato scalpore un suo articolo, pubblicato nell’agosto del ‘90 sul Resto del Carlino, in merito ai crimini a sfondo politico avvenuti in Emilia Romagna nel cosiddetto «triangolo della morte» o «triangolo rosso» tra il ’43 ed il ’49, proseguiti, quindi, anche a guerra abbondantemente conclusa e sui quali era ed è calato un velo di omertà. Solo in terra emiliana in quegli anni si verificarono circa 4.500 omicidi politici ai danni di ex fascisti e loro familiari, comprese donne e minori,ed anche di persone che non avevano avuto implicazioni dirette con il regime, ma erano comunque considerate «nemiche di classe» in quanto appartenenti alla piccola borghesia o al clero. Fra le vittime persino partigiani di orientamento non comunista. Responsabili di tali omicidi, in molti casi particolarmente efferati, ex partigiani ed aderenti al Partito Comunista. Si ricordano, fra i molti, i casi dei fratelli Govoni, della famiglia Pallotti o quello del seminarista quattordicenne Rolando Rivi,beatificato nel 2013, «rapito, torturato e giustiziato il 13 aprile del 1945 da un gruppo di partigiani comunisti facenti parte della Brigata Garibaldi». Montanari chiedeva – semplicemente – che su questi crimini fosse ristabilita la verità, che si distinguesse fra atti di guerra ed efferatezze gratuite. Una richiesta riassunta nella celebre frase «chi sa parli». Tuttavia, a seguito del suo intervento fu allontanato dall’Anpi, espulso per circa un anno dall’Istituto Alcide Cervi, emarginato all’interno dello stesso Partito Comunista, sebbene alcune figure di spicco fossero rimaste dalla sua parte. Dopo le sue dichiarazioni furono riaperti diversi processi, fra cui quello sull’omicidio di don Umberto Pessina. Solo un paio d’anni fa la piena riabilitazione da parte dell’Anpi e della sinistra erede del Pci.La vicenda umana di Otello Montanari riassume in modo emblematico molte cose in merito alla data di oggi, il 25 aprile, anniversario della liberazione dell’Italia, e sul perché, in assenza di una lettura completa ed obiettiva sul nostro passato, non riesca a rappresentare una memoria veramente condivisa. A differenza delle altre ricorrenze civili come la Festa della Repubblica del 2 giugno e la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate del 4 novembre, che sono patrimonio di tutti gli italiani, nonostante anch’esse siano fondate sul ricordo di eventi tanto importanti quanto tragici, e come il 1° maggio, la celebrazione più cara al sindacato, festa del lavoro che accomuna l’intera cittadinanza, il 25 aprile è una commemorazione che alimenta vecchie contrapposizioni che, con maggiore obiettività di racconto, sarebbero state, da molto tempo,consegnate alla storia.Non vuol dire cancellare la memoria, ma solo contestualizzarla a una lettura non più ideologica. È quello che aveva cercato di fare Otello Montanari, uno che a suo tempo aveva fatto una precisa scelta politica, portata avanti con coerenza durante tutta la sua vita, e che nonostante ciò non aveva smesso di pretendere che la storia della resistenza e della liberazione fosse raccontata in modo da essere ricordo (e monito) per tutti.Ieri, in un articolo su “Il Messaggero”, Mario Ajello ricordava Ignazio Silone, che nel già ’45 affermava “dopo esserci liberati del fascismo, dobbiamo ora cercare di superare anche l’antifascismo”.E’ venuto il momento che l’Italia abbia il suo “ritorno al futuro”, con il ricordo di un passato che non divide più il presente.