di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

In questi giorni la cronaca ci descrive situazioni inaudite di studenti che tiranneggiano, minacciano o addirittura si scagliano violentemente contro i propri insegnanti, mentre le scene vengono riprese con i cellulari, onnipresenti nelle aule, in un’inquietante atmosfera di rassegnazione dei professori e di indifferenza, se non di complicità, degli altri giovani. Si tratta di casi limite, che non rappresentano certamente la normalità, ma che invitano comunque alla riflessione, sia perché sembrano essere in aumento, sia perché avvengono anche in contesti sociali non estremi. La viralità dei video, diffusi sulla rete, ha rivelato un mondo di violenze e soprusi, che in parte sono sempre esistiti, ma che certamente in passato erano affrontati e puniti in modo ben più severo. Ci si interroga, quindi, su come si sia potuti giungere a tali livelli, individuando, giustamente, le cause nella mancanza di educazione, nel diffondersi di modelli di comportamento negativi, nell’assenza di autorità in mancanza di un adeguato sistema che punisca i colpevoli con sospensioni, espulsioni e bocciature. Riflessioni, queste, senz’altro condivisibili. Resta però un’impressione di sottofondo, ossia che l’aumento di casi come questi derivi anche dalla mancanza di meritocrazia nel mondo del lavoro e nella società in genere. Gli studenti sono, infatti, sempre più consapevoli del fatto che ottenere una buona istruzione, formazione e quindi adeguate competenze, non sono condizioni determinanti per il proprio futuro lavorativo, economico e sociale e quindi ai fini della riuscita personale nella vita che li attende dopo la scuola. In un mondo del lavoro caratterizzato, purtroppo, da una perdurante assenza di meritocrazia, sanno bene che, molto più che l’istruzione, saranno altri elementi – il contesto familiare, le relazioni personali, i contatti informali, le “partite di calcetto” per dirla alla Poletti – a decidere del loro destino e della loro carriera. Così non sono invogliati a raggiungere l’eccellenza negli studi. Non solo: non riconoscono neanche più l’autorità degli insegnanti. Come potrà infatti valere la “minaccia” di un brutto voto o di una bocciatura in un mondo del lavoro che non guarda al curriculum? Certamente non tutti reagiscono a questa situazione dando vita ad atti di bullismo e di violenza. La gran parte dei ragazzi, più sensibili e meglio educati, preferisce continuare a credere in un futuro migliore, magari all’estero.

Le radici del problema

Gli studenti sanno bene che, una volta usciti dalla scuola, saranno altri elementi, molto più che le capacità e le competenze, sintetizzate nel curriculum – in una parola, il merito – a decidere del loro destino professionale e della loro carriera. Conteranno, piuttosto, il contesto familiare, le relazioni personali, i contatti informali, le “partite di calcetto” per dirla alla Poletti. Così non sono invogliati a raggiungere l’eccellenza negli studi. Non solo: non riconoscono neanche più il ruolo del sistema educativo e di conseguenza l’autorità degli insegnanti.