di Caterina Mangia

Leggere nel pensiero non è più una metafora, un’ipotesi magica, un’astrazione: le rivoluzioni tecnologiche in atto stanno dimostrando che anche questa azione, degna della più coraggiosa letteratura scientifica, potrebbe invece diventare realtà.
Questa l’inquietante e affascinante riflessione che si affaccia alla mente di fronte ad AlterEgo, dispositivo estremamente all’avanguardia prodotto dal Massachussets Institute of Technology: se indossato e avvicinato all’orecchio, l’apparecchio è in grado di “tradurre” i movimenti facciali involontari, indovinando quello che stiamo pensando grazie a un sofisticatissimo sistema di sensori che recepisce i nostri segnali neuromuscolari. Verrebbe da supporre che un tale marchingegno, svolgendo un compito così difficile, possa commettere frequentissimi errori nell’interpretazione dei pensieri: eppure, nel 90% dei casi, AlterEgo capisce con precisione a cosa fa riferimento la nostra mente.
Al momento, questa prodigiosa virtù “divinatoria” dell’apparecchio trova applicazione nell’effettuazione di ricerche su Google: per procedere con la navigazione su qualsiasi argomento, basterà pensarlo.
E’ evidente che i possibili sviluppi di questa tecnologia, che non è ancora commercializzata e riconosce qualche centinaio di parole e i numeri da zero a nove, potrebbero cambiare in modo incredibile il nostro quotidiano, creando in noi l’abitudine ad agire sulla realtà “con la sola forza del pensiero”; le sue applicazioni in campo medico, inoltre, potrebbero permettere di comunicare a chi è gravemente immobilizzato. C’è però anche il risvolto della medaglia: in tempi di scandali come quello riguardante Cambridge Analytica, la sensazione è che la tecnologia possa carpirci e “rubarci” anche la sfera più intima. Un’ulteriore controindicazione: attenzione a cosa pensiamo.