«Essere o non essere», troppo, di sinistra. Questo è il problema del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, e forse, chissà, prossimo dirigente del Pd.
«Il Jobs Act è sbagliato non per l’abolizione dell’articolo 18, ma perché contiene un indebolimento sostanziale degli ammortizzatori sociali», ha detto partecipando con Romano Prodi alla presentazione del libro di Enrico Giovannini “L’utopia sostenibile” presso la sede della casa editrice Laterza. Salvo poi doversi correggere: «Leggo su Repubblica che avrei detto che bisogna dire addio al Jobs Act. Nulla di più distante da quanto discusso e pensato. Ritengo il Jobs Act una riforma fondamentale e positiva per l’Italia». In effetti si chiedeva anche Amleto «se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine», così anche Carlo Calenda probabilmente non sa davvero cosa fare né quale identità assumere: se quella di lotta o quella di governo, quella di sindacalista o di ex manager, quella di dirigente di partito o di ministro. Ma nel frattempo parla. Parla e non ricorda. Dovrebbe invece rammentare quando il sindacato sosteneva già anni or sono le sue stesse tesi di oggi: il Jobs Act – oltre alla nefandezza di staccare l’ultima pellicola di scotch rimasta intorno all’articolo 18, dopo lo smantellamento effettuato della Fornero – conteneva chiaramente un indebolimento in termini di durata e di risorse degli ammortizzatori sociali, nonché delle importantissime (soprattutto per la gestione della disoccupazione) politiche attive del lavoro. Perché allora non ha difeso i rappresentanti dei lavoratori, quando furono accusati di essere dei gufi dal capo del suo Governo e capo dello stesso partito che oggi Carlo Calenda potrebbe persino tentare di “scalare”? Semplice, era un’altra persona.
D’altronde, come asserisce il Bardo, «la coscienza ci rende tutti codardi, e così il colore naturale della risolutezza è reso malsano dalla pallida cera del pensiero». In questi giorni la mente di Calenda è soggetta ad un lavorio incessante nel cercare di definire la (sua) nuova sinistra. «Una delle ragioni per cui la sinistra è morta è perché ha dato messaggi motivazionali invece che di comprensione della realtà», ha detto. C’è bisogno di «investimenti e protezione» e di «difesa dell’occupazione a tutti i costi».
E se adesso un sindacalista, vero, si candidasse alla guida del “nuovo” Pd?