E, se le cose non cambieranno, andrà ancora peggio. Nel quarto trimestre del 2017, la crescita, peraltro esigua, degli occupati (+12mila unità, pari allo 0,1%) si concentra esclusivamente nel lavoro a tempo determinato (+57mila), a fronte di un crollo del lavoro a tempo indeterminato (-25mila unità) e del lavoro autonomo (-20mila). Si conferma una tendenza in atto, quello del passaggio da lavoro a tempo indeterminato all’occupazione temporanea, con la conseguente precarizzazione per una quota sempre maggiore di lavoratori e lavoratrici. Le cose, purtroppo, andranno peggio nel prossimo futuro, poiché si aggiungerà una scadenza tanto temuta: quella dei tre anni dal bonus contributivo e dall’entrata in vigore del contratto a tutele crescenti, introdotto con i primi decreti attuativi del Jobs act ed utilizzato dal 7 marzo del 2015. Le aziende sono ora libere di licenziare, senza dover ridare indietro quanto percepito come incentivo e dovendo soltanto mettere a bilancio una indennità commisurata all’anzianità maturata dal dipendente. Tutto ciò accade in un momento in cui l’economia italiana è in una fase espansiva, seppur in valori inferiori rispetto alla media europea. In un anno, l’occupazione è cresciuta di 279mila unità; quasi il 90% di questi posti di lavoro è però a termine. La ripresina finora si è concentrata, oltre che sul lavoro a termine, sul passaggio dal part time al tempo pieno, con un secondo aspetto affine, che è quello della riduzione del ricorso agli ammortizzatori sociali. In altre parole, le aziende, laddove possibile, stanno utilizzando loro personale, rimandando le assunzioni a tempo indeterminato, se mai ci saranno, ad altri tempi. Questa è la tendenza; di fondo, rimane però una questione che è quella del ridottissimo tasso di occupazione. In Italia, si lavora mediamente poco, al di là anche della qualità dell’occupazione. Il tasso di occupazione generale è bloccato al 58,2%, dato dalla media fra maschi (67,1%) e femmine (49,2%). Ricordando i vecchi Obiettivi di Lisbona, la soglia del 70% è superata per la sola componente maschile nel nord e nel centro Italia. Nel Mezzogiorno, si registra un drammatico 44,1% di tasso di occupazione totale, con quella femminile al 32,8%, una distanza che, peraltro, tende a dilatarsi piuttosto che a ridursi.