di Caterina Mangia

Un Paese di fratture e disuguaglianze, in cui sempre più persone sono sull’orlo della miseria e i giovani – soprattutto chi ha l’ardire di mettere su famiglia -, sono alle prese con la titanica impresa di far fronte dignitosamente al quotidiano.
Nonostante i commenti trionfalistici sui numeri riguardanti Pil e lavoro con cui il Governo si è presentato al voto del 4 marzo, il quadro diffuso da Bankitalia nella sua indagine sui bilanci delle famiglie italiane è a dir poco desolante, e suona come l’ennesimo, inascoltato campanello di allarme.
Nel 2016 gli italiani residenti a rischio povertà sono aumentati al 23%, ovvero una persona su quattro, rispetto al 19,6% del 2006. Si tratta del massimo storico da quando Bankitalia ha iniziato a fare questo tipo di rilevazioni. Il 5% dei più facoltosi, inoltre, detiene il 30% della ricchezza, mentre il 30% dei più poveri si spartisce un misero 1%: l’indice Gini, che misura la disuguaglianza, è salito al 33,5% rispetto al 32% del 2006. Sulla distribuzione della ricchezza, dunque, non si è fatto che peggiorare.
Si conferma inoltre il fatto che questo non è un Paese per giovani: rispetto al 2006 è in salita il numero di nuclei con capifamiglia di età inferiore ai 35 anni alle prese con problemi economici, passato dal 22,6 al 29,7% del 2016.  Anche le criticità dei nuclei residenti al Nord Italia sono in aumento, dall’8,3 al 15%, mentre il numero di famiglie a rischio povertà al Mezzogiorno è pressoché invariato rispetto a dieci anni fa, anche se si attesta su una percentuale altissima: il 39,4% dei nuclei è sull’orlo del collasso economico.
Pressoché tutte le aree geografiche e categorie anagrafiche e professionali sono coinvolte in questa deriva angosciante, fatta eccezione per i pensionati, che hanno visto calare la quota di persone a rischio povertà dal 19% del 2006 al 16,6% del 2016. I nuclei con capofamiglia meno istruito, nato all’estero, residente nel Mezzogiorno e giovane sono più a rischio delle altre.
Uno spiraglio di luce arriva dal fatto che il reddito equivalente medio è cresciuto del 3,5% rispetto a quello del 2014: si tratta del primo aumento dal lontano 2006; tuttavia, non c’è da cantar vittoria facilmente, perché a tutt’oggi resta inferiore di 11 punti percentuali rispetto al 2006.  E’inoltre cresciuta la quota di famiglie che hanno dichiarato di essere riuscite a risparmiare parte del loro reddito nel corso dell’anno: il 30% dei nuclei con il reddito più basso, tuttavia, ha visto aumentare la quota di coloro che hanno dovuto indebitarsi per dar fronte alle proprie uscite.
Il calo dell’indebitamento delle famiglie, che nel 2016 si attesta al 21% rispetto al 23% del 2014 e al 29%, è confermato, anche se il trend interessa soprattutto le famiglie che hanno un capofamiglia di oltre 45 anni.