di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

I dati pubblicati da Confcommercio sull’andamento dei consumi testimoniano le permanenti difficoltà della nostra economia e confermano la situazione di difficoltà in cui vivono molti italiani, a dimostrazione del fatto che non è sufficiente una crescita del Pil, peraltro lieve e di molto inferiore a quella degli altri Stati europei, per dichiararci ormai fuori dalla crisi. A gennaio infatti l’indicatore dell’associazione che rappresenta molte imprese del commercio, turismo e servizi ha registrato un calo dei consumi dello 0,1% rispetto a dicembre scorso e dello 0,5% su base annua, confermando una generale tendenza al rallentamento iniziata già dalla scorsa estate. Nel dettaglio, cresce solo la domanda di servizi dello 0,2%, mentre cala quella di beni dello 0,3%. Cresce la domanda per alberghi e pasti fuori casa, servizi ricreativi e di cura della persona, beni e servizi relativi alla comunicazione, evidentemente considerati indispensabili ormai da molti italiani. Calano invece i consumi relativi a mobilità, compreso il settore automobilistico, abbigliamento e calzature, cibo e bevande, tabacchi. Questi segnali sono molto indicativi in merito allo stato della nostra economia e della società. L’occupazione non cresce più, permangono situazioni di difficoltà ed un’estesa platea di cittadini in stato di povertà assoluta o relativa, scarseggia la fiducia nel futuro. Insomma, facile dire che va tutto bene, ma questo ottimismo diffuso dal governo uscente non sembra trovare un concreto riscontro nella vita quotidiana delle persone, anche perché non bisogna dimenticare il vizio di fondo dei conteggi statistici, sapientemente sintetizzato nella celebre poesia del pollo di Trilussa: se il Pil cresce, seppure di poco, ciò non significa che la gran parte degli italiani riesca a beneficiare di questa debole ripresa, tutt’altro. La forbice sociale è in ampliamento e se pochi ricchi riescono a cogliere i timidi segnali di crescita, le fasce più deboli della popolazione, che ormai comprendono anche quello che un tempo era il «ceto medio», continuano invece a barcamenarsi in un’economia che arranca, che offre poco lavoro e di bassa qualità a giovani e meno giovani in cerca di occupazione, e che continua a chiedere grandi sforzi fiscali nonostante i mezzi siano sempre più scarsi. E i consumi languono.

I dati altalenanti sull’economia sintomo di criticità

Siamo ormai sommersi quasi quotidianamente da dati altalenanti sullo stato di salute dell’economia: da un lato il Pil è in ripresa, dall’altro, però, ancora non abbiamo raggiunto i livelli pre-crisi e nella classifica europea sulla crescita l’Italia è posizionata agli ultimi posti. A completare il quadro, le statistiche sulla flessione dei consumi. Una ripresa debole, insufficiente nella quantità e nella qualità, che non riesce a far uscire molti nostri concittadini dall’ombra della disoccupazione, della povertà, della crisi.