di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La forza delle urne. Ciò che non si è riusciti a realizzare, miracolosamente si sta concretizzando quasi a tempo scaduto. Ma come per il calcio, anche sui rinnovi dei contratti collettivi di lavoro della pubblica amministrazione scende impietosa la Var ad annullare ogni possibilità di gioire. L’ultimo rinnovo, in ordine di tempo, è stato quello della scuola, con l’intesa sottoscritta soltanto da alcune organizzazioni sindacali. I primi a rinnovare furono gli statali. Ebbene, la costante è sempre la stessa: in tutti i casi si tratta di rinnovi in perdita per i lavoratori e le lavoratrici del pubblico impiego. Figli e figlie di un Dio minore, i dipendenti pubblici sono stati colpevolmente gettati nel limbo del mancato rinnovo contrattuale, proprio nel momento più difficile per il nostro Paese, quasi ad avvalorare la tesi che proprio loro fossero, se non i colpevoli, quanto meno i complici della crisi. L’inflazione schizzava in alto, conseguenza più o meno diretta della speculazione in atto, e i dipendenti pubblici, loro malgrado, a guardare, perché i governi tecnici e poi quelli a trazione Partito democratico nulla mettevano da parte per garantire il potere d’acquisto degli oltre tre milioni di dipendenti pubblici. Questa storia è durata troppi anni, lunghi mesi nei quali gli stipendi si sono sempre più impoveriti: rispetto ad un lavoratore privato il cui contratto è stato rinnovato nei modi e nei tempi stabiliti, il gap è arrivato a toccare quasi i duecento euro ogni mille euro di partenza, un abisso. Ora arrivano queste intese. Nel gioco delle parti, la Ministra Maria Anna Madia può dirsi soddisfatta, così come Cgil, Cisl e Uil provano a difendere ciò che hanno sottoscritto. Ma c’è un “però” grande come una casa. I rinnovi nascono, purtroppo, già morti, poiché riguardano il triennio 2016-2018 e, soprattutto, recuperano soltanto una parte di quanto perso con un sistema di una tantum e di arretrati che non soddisfa. È appena il caso di ricordare che gli accordi firmati a suo tempo imponevano al datore di lavoro, compreso quello pubblico, di riconoscere l’adeguamento salariale dalla scadenza del contratto collettivo a prescindere dal momento della stipula del rinnovo. Tradotto in soldoni significa che ad ogni singolo dipendente pubblico mancano almeno due o tremila euro di arretrati.