di Nazzareno Mollicone
Responsabile Nazionale Ufficio questioni previdenziali

Uno degli argomenti che sta diventando centrale nel dibattito preelettorale è quello relativo alla sostenibilità del sistema previdenziale, soprattutto se si intende abolire la legge Monti/Fornero sull’allungamento dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva per tornare, ad esempio, al sistema delle “quote”.
Ci sono importanti giornalisti, opinionisti, esperti di diverso genere (ultimo dei quali è Gianni Geroldi, già componente del “Nucleo di valutazione della spesa previdenziale”) i quali parlano di una spesa di “dimensioni insostenibili”. Abbiamo già esposto in un precedente articolo alcune obiezioni a questo terrorismo finanziario, evidenziando la confusione che si fa tra spesa previdenziale (autofinanziata e sostanzialmente in pareggio con i contributi di aziende e lavoratori) ed assistenziale; alla mancata considerazione della sostituzione di lavoratori giovani (con il versamento dei relativi contributi) al posto di quelli inviati in pensione ad un’età accettabile moralmente; alle incredibili (nel senso che non sono storicamente credibili) proiezioni di spesa previdenziale per i prossimi 40-45 anni, e via dicendo.
Però tutti questi autorevoli commentatori del sistema previdenziale, mentre considerano unitariamente il bilancio dell’INPS senza fare distinzioni tra le varie gestioni al suo interno (che pur esistono giuridicamente, amministrativamente e contabilmente), stranamente dimenticano di parlare di un altro Ente che costituisce l’altro “pilastro” del sistema previdenziale/assicurativo pubblico italiano.
Si tratta dell’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) al quale le aziende pagano un “premio” assicurativo obbligatorio, stabilito nelle tabelle dell’Ente, per garantire ai propri dipendenti colpiti da malattie professionali, infortuni sul lavoro e purtroppo anche morti (1.104 nel 2016, di cui però solo 612 veramente sul posto di lavoro, gli altri su un mezzo di trasporto aziendale o “in itinere”) un risarcimento ed un rimborso spese.
Ente meritorio, quindi, ed anche ben gestito. Tanto da aver accumulato negli ultimi anni un “avanzo di amministrazione” di ben 32 miliardi e 846 milioni di euro.
Qualcuno penserà: ma cosa ci fanno con quei soldi? Dove li mettono? La risposta è semplice ed immediata: per una norma del 1999 sempre rinnovata gli avanzi annuali di amministrazione sono versati al Tesoro dello Stato, ossia al ministero dell’economia, su un conto corrente “infruttifero”! In altri termini, lo Stato non solo si appropria delle eccedenze dei contributi versati dalle aziende, ma addirittura neanche li remunera. Da aggiungere che lo stesso Stato ha un debito per altri dieci miliardi circa nei confronti dell’Istituto sia per i contributi non versati da molte Pubbliche Amministrazioni sia per i proventi delle vendite degli immobili conferiti obbligatoriamente alla “Società di cartolarizzazione immobili pubblici” (Scip).
Il discorso che s può fare a questo punto è duplice.
Visto che quei risparmi derivano dai contributi delle aziende, non sarebbe giusto restituirli a loro? In effetti, l’Ente – che, essendo stato fondato dallo Stato nel 1933, non ha soci fondatori capitalisti – è una specie di “mutua assicuratrice”, dove gli utili sono distribuiti ai soci. Si potrebbero anche incrementare le rendite ed i risarcimenti agli infortunati, ma questo comunque rientrerebbe nel piano di assegnazione degli utili.
Ma poiché riteniamo che questa proposta difficilmente troverà accoglienza, allora chiediamo al ministro dell’economia ed a tutti coloro che si preoccupano dello sbilancio dell’Inps: visto che comunque quei soldi trattenuti dalla Tesoreria appartengono al mondo del lavoro, perché non utilizzarli per gli oneri necessari alla revisione della Legge Fornero?
In sintesi, la domanda polemica da porre a tutti coloro che – nei dibattiti televisivi e nei paginoni della cosiddetta “grande stampa d’informazione” – parlano di deficit dell’Inps e dell’impossibilità di ritoccare le norme attuali, è la seguente: perché non si prende in considerazione il cumulo dei saldi finanziari dei due Istituti (ferma restando la loro autonomia e specificità) per valutare la vera incidenza della spesa previdenziale in tutti i campi (anche le assicurazioni per gli infortuni sul lavoro sono previdenza) al fine di fare una valutazione reale dell’incidenza sul bilancio dello Stato senza terrorismi psicologici?
Ma presumiamo che la questione sarà totalmente ignorata: la finalità nascosta è quella di eliminare man mano i diritti dei lavoratori e dei pensionati, rendendo tutti più poveri, più logorati, più disponibili a versare i loro risparmi alle imprese private per avere un’integrazione alle sempre più scarse rendite percepite.