Mai come in questo caso, la fretta potrebbe essere cattiva consigliera. Ed una cattiva scelta metterebbe a rischio 12mila posti di lavoro nonché l’immagine stessa del Paese che si ritroverebbe senza una Compagnia di bandiera capace di veicolare ogni anno milioni di turisti stranieri, oltre, naturalmente, ad assicurare tutti i collegamenti necessari alla crescita dell’economia nazionale. La vicenda Alitalia, allo stato dell’arte, sembra destinata a trascinarsi fino alle elezioni politiche. Intanto, dall’incontro di ieri al Ministero dello sviluppo economico, sono emersi dei riscontri positivi, quanto meno in termini di ricavi in crescita, per la prima volta dopo tanto tempo e più del preventivato, cosa che ha permesso ai commissari di lasciare praticamente intatto il prestito ponte che il Governo ha messo a disposizione degli stessi per fronteggiare le esigenze di cassa. Da qui, l’invito a non spingere troppo sull’acceleratore, nella convinzione che ciò possa portare a dei benefici in termini di attrattività, visto l’interesse già manifestato da Lufhtansa, da Air France-Klm, da Delta Air Lines, dalle low cost EasyJet e Wizz Air, dal Fondo Cerberus. Presto si capirà quale di queste proposte è effettivamente concreta. Nell’attesa, si moltiplicano gli inviti a non svendere un patrimonio collettivo. Per il segretario generale dell’Ugl Paolo Capone «bisogna puntare sulla vendita della Compagnia nella sua integrità in funzione di tutelare i 12mila dipendenti coinvolti e non solo una parte di essi». Un concetto sicuramente condiviso anche dagli altri leader dei sindacati confederali.