di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

È una coincidenza curiosa il fatto che la polemica tra il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, e “il Pd” sull’abolizione del canone Rai deflagri proprio oggi, quando cioè l’Istat diffonde i dati sulla diminuzione della pressione fiscale, risultato di cui il candidato premier dello stesso partito, Matteo Renzi – un po’ meno Gentiloni -, si sta vantando in queste ore con grande enfasi; come è quasi d’obbligo nel gioco della comunicazione. È giusto, siamo in piena campagna elettorale, e sullo sfondo, ma neanche tanto in secondo piano, resiste la polemica sull’obbligo di utilizzo e di acquisto dei sacchetti biodegradabili. L’argomento tasse, checché se ne dica, è assolutamente scottante.
Spesso i retroscena lasciano il tempo che trovano, ma quello di Repubblica che riporta parole virgolettate di Matteo Renzi, espresse durante un vertice “segreto” al Nazareno, in cui egli, risoluto, annuncia ai suoi l’idea dell’abolizione del canone Rai, perché è «una brutta tassa» e perché «la tv pubblica deve essere un diritto dei cittadini», non ha il sapore di una bufala, semmai quello di una “bella trovata” per attirare voti e esorcizzare lo spettro dell’astensione.
Il retroscena è ormai confermato visto che su Twitter il deputato Pd Michele Anzaldi risponde al giudizio negativo del ministro Calenda sull’eventuale abolizione del canone – «I soldi dello Stato sono i soldi dei cittadini e dunque sarebbe solo una partita (presa) di (in) giro» – rimarcando «altro che presa in giro», «se tagliamo 1,5 mld di spesa pubblica ed eliminiamo canone Rai i cittadini pagano meno».
Era stato proprio il Governo Renzi a inserire “l’odiata tassa” nella bolletta dell’energia elettrica, non per far pagare di meno ai cittadini ma per sanare decenni di evasione del canone che, insieme ad altri fattori e sprechi, avevano messo in difficoltà i bilanci di una delle aziende più importanti d’Italia. Evitando così – aggiungiamo noi – anche di far pagare alle migliaia di dipendenti il prezzo di quell’ingente evasione. Anche allora la tv pubblica era un diritto dei cittadini. Cosa è cambiato adesso? Fin troppo facile rispondere, ma, attenzione, l’economia e le sue regole non si adeguano alle metamorfosi della personalità di un leader.
Al di là dei particolari con cui si intende realizzare una tale, spericolata, e in effetti fantasmagorica, abolizione, quello che è più importante sottolineare è la totale estemporaneità delle politiche e delle proposte del Pd, che cambiano con il mutare del tempo e delle opportunità/esigenze di chi lo guida. Il senso di smarrimento, non solo negli elettori del Pd, ma in tutti i cittadini, è assicurato. E di questo, davvero, l’Italia non ha alcun bisogno.