Il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, si rivolge direttamente a Palazzo Chigi: «Chiederemo con Cgil e Cisl un incontro con il presidente del consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, per rinnovare i contratti del pubblico impiego entro l’anno e alcuni ai primi di gennaio». Un appello accorato, quindi, dopo che sono già trascorsi tredici mesi dall’intesa del novembre dello scorso anno e, soprattutto, dopo otto anni di mancato rinnovo e conseguente perdita del potere d’acquisto degli stipendi di oltre tre milioni di dipendenti pubblici. All’indomani della firma dell’intesa del novembre del 2016, la firma sul nuovo contratto collettivo era sembrata una formalità. Pochi incontri per definire il tutto e i lavoratori pubblici avrebbero potuto godere di qualche euro in più, senza peraltro il giusto ristoro economico per il ritardo accumulato dal 2009. Ed invece, la trattativa ha segnato il passo, tanto che soltanto negli ultimi giorni sono  stati affrontati alcuni temi della parte normativa, mentre con la legge di bilancio si supererà lo scoglio relativo al rischio di perdere gli 80 euro di bonus al superamento delle soglie indicate di 24mila e 26mila euro. In attesa di sapere quale sarà la risposta del premier, resta il dato di fondo che i dipendenti pubblici hanno subito un innegabile pregiudizio a causa del ritardo nella definizione del nuovo contratto collettivo di lavoro. Rispetto ad un dipendente del settore privato al quale il contratto collettivo è stato rinnovato con regolarità e tenendo conto dell’impatto dell’inflazione, la forbice reddituale è quantificabile in circa 200 euro ogni mille euro di stipendio.