di Francesco Paolo Capone

Segretario Generale Ugl

L’Ocse lo conferma, e di tale conferma noi dell’Ugl non avremmo alcun bisogno, ma tanto vale riportare le rilevazioni dell’Organizzazione di Parigi a sostegno della battaglia che oggi ha visto sventolare le nostre bandiere in tutte le piazze d’Italia, da Nord a Sud, da Est a Ovest, sotto lo slogan #vietatovivere, pensione irraggiungibile. Il messaggio è chiaro: non solo non ha alcun senso, prima di tutto sociale, ancora prima che economico, ritardare ulteriormente l’uscita dal mondo del lavoro delle italiane e degli italiani, ma è letteralmente indecoroso per un Paese civile.
Cosa dice l’Ocse nel suo “Panorama sulle Pensioni”? Che l’età normale di pensionamento per la generazione nata in Italia nel 1996 dovrebbe crescere ulteriormente fino ad arrivare a 71,2 anni, fatto che la renderà la più elevata dell’intera zona Ocse. Quest’ultimo indica quale sia la sfida più urgente per il nostro Paese: «Limitare» contemporaneamente «la spesa pensionistica nel breve e medio termine» e affrontare i problemi di adeguamento per i futuri pensionati. Qualcuno continua a bollare come battaglie di retroguardia quelle dei sindacati, in particolare di due di essi (Ugl oggi e  Cgil il 2 dicembre), perché invece di preoccuparsi dei giovani chiedono non di anticipare – sia chiaro! – ma di non aumentare ulteriormente l’età pensionabile delle lavoratrici e dei lavoratori più anziani. Insomma Boeri e i “suoi seguaci”, che non sono pochi,Ocse compreso, discettano in materia come se l’età pensionabile di oggi non fosse legata all’età pensionabile di domani e come se entrambe non fossero connesse alla precarietà e al deterioramento del mercato del lavoro, per il quale il Jobs Act di Matteo Renzi è il colpo di grazia. Nel contestare le politiche e soprattutto le mancate promesse del Governo Gentiloni, ciò che chiediamo è bloccare quell’automatismo che lega l’età per andare in pensione agli incrementi dell’aspettativa di vita della popolazione. Se il meccanismo, da quando è stato introdotto (anno 2013), ha sempre funzionato al rialzo ad oggi, dipende dal fatto che il suo fine è con il fine contenere la spesa previdenziale e a tal fine il requisito anagrafico viene aumentato periodicamente in proporzione all’incremento della speranza di vita certificato dall’Istat. Allora tutti a sperare – rendiamoci conto del paradosso – in un generale calo delle stesse aspettative, il che vuol dire che ci si deve augurare di morire “in media” prima che in passato? Non servirebbe neanche questo, perché se la variazione di speranza di vita dovesse risultare negativa non viene modificata, e quindi abbassata, l’età necessaria per andare in pensione, ma lasciata così com’è. Dunque siamo finiti in una trappola, per primi i giovani. Questi ultimi infatti, entrando sempre più tardi nel mondo del lavoro e saltando da un lavoro precario all’altro, anche quando il fosse quello “a tempo indeterminato”, perché in realtà è a tutele crescenti, non potranno mai riuscire a sostenere con i loro contributi né il sistema attuale né a costruire un solido futuro previdenziale. Senza dimenticare che, proprio a causa di uno Stato sociale inadeguato, costringere migliaia di persone a restare più a lungo nel mondo del lavoro significa sottrarre tempo e cure alle proprie famiglie.  In realtà il Governo Gentiloni, come tutti quelli che lo hanno preceduto a partire da quello guidato dal prof. Mario Monti, continua a fare cassa con i diritti dei lavoratori.