di Fiovo Bitti

Meglio tardi che mai. Il Parlamento, per il momento solo al Senato, ha approvato un emendamento al decreto legge fiscale per il riconoscimento dell’equo compenso per il lavoro dei professionisti, un tema entrato, ma poi subito stralciato, anche nel disegno di legge di bilancio. Per diventare legge, la norma dovrà essere approvata pure alla Camera. Da quel momento, scatterà l’obbligo per la pubblica amministrazione di riconoscere un equo compenso a tutti i professionisti. L’emendamento promosso dall’Ordine degli avvocati è figlio della situazione che si è andata stratificando negli anni, complice i tagli ai bilanci ed alcuni interventi normativi, da ultimo il Jobs act, arrivando a quello che un ministro della Repubblica, il titolare del dicastero della giustizia, Andrea Orlando, ha definito «un vero e proprio caporalato intellettuale». La norma approvata servirà a sanare un vulnus, ma rimane in piedi tutta la questione del rapporto fra i professionisti e le aziende private. L’articolo proposto nella legge di bilancio prevedeva un equo compenso in favore degli avvocati iscritti all’Albo nei rapporti convenzionali con le imprese bancarie ed assicurative, con una particolare attenzione alle clausole. Contemporaneamente con l’approvazione dell’emendamento, è stato pubblicato il rapporto dell’Osservatorio di Confprofessioni: i professionisti nel nostro Paese sono circa un milione e 400mila unità, pari al 5% della forza lavoro totale. In rapporto alla popolazione, si va dai trenta professionisti ogni mille abitanti in Emilia Romagna ai quattordici della Calabria. Nel complesso, la diffusione è maggiore al nord. Per due terzi si tratta di uomini, con la quota femminile che appare peraltro in calo. L’età media è di oltre 46 anni, sicuramente elevata, ma dettata dal fatto che l’accesso alle professioni è sempre preceduta da un periodo di tirocinio. Resta, però, il dato che nell’ultimo decennio l’età media è comunque aumentata di quasi due anni.