di Caterina Mangia

Dopo le critiche dell’Onu, l’Europarlamento va in Libia.
Una delegazione ufficiale di deputati europei si recherà nel Paese dal domani al 22 dicembre per toccare con mano la situazione riguardante il Paese, e verificare de visu cosa avviene in materia di traffico di esseri umani e rispetto dei diritti fondamentali.
Lo ha reso noto il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, aggiungendo che «non possiamo continuare a lasciare la gestione dei flussi migratori nelle mani di trafficanti senza scrupoli che ci rimandano ai tempi bui della tratta degli schiavi».
La decisione giunge dopo il durissimo “j’accuse” dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Zeid Raad Al Hussein, rivolto ieri all’Ue e all’Italia:«La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità», e la cooperazione tra Ue e Libia in tema di migranti è «disumana». In particolare, nel mirino delle critiche dell’Onu è l’aiuto fornito dall’Ue e dall’Italia alle guardie costiere libiche per arrestare i migranti in mare: «Sin dal primo momento l’Italia ha posto in tutte le sedi il problema delle condizioni umanitarie dei centri di accoglienza in Libia», è la replica della Farnesina.
Intanto, ha fatto il giro del mondo, ieri, una foto scattata nel ghetto libico di Shabba che ritrae corpi umani di adulti e bambini stipati gli uni sugli altri in una sorta di drammatico girone dantesco. Così come ha fatto il giro del mondo un reportage della Cnn girato in Libia in cui gli esseri umani vengono venduti all’asta per pochi dinari.
La Farnesina precisa che da mesi chiede «a tutti i player coinvolti di moltiplicare l’impegno e gli sforzi in Libia per assicurare condizioni accettabili e dignitose alle persone presenti nei centri di accoglienza». La situazione è nota da tempo alla comunità internazionale: al di là della brusca presa di coscienza dell’Onu, c’è da chiedersi cosa è stato fatto e cosa si può fare per porre fine a questa ecatombe di vite umane.
E’ vero, infatti, che l’alternativa alla detenzione dei migranti in Libia è spesso la loro morte in mare, alla ricerca di una chimerica salvezza.
Così come è vero che la comunità internazionale è rimasta inerte, se non complice, mentre veniva abbattuto il regime di Gheddafi, e con la sua fine l’unità libica si sgretolava nuovamente in guerre tribali e in un caos senza fine.
Quello che è chiaro è che ad oggi, anche con le migliori intenzioni, non è facile individuare un interlocutore governativo che abbia facoltà di tener fede agli accordi, vigilando sulla loro attuazione nel rispetto dei diritti umani. Tutto ciò per un semplice fatto: le redini della Libia, da tempo, non sono realmente in mano a nessuno. Le “lacrime” versate ieri dall’Onu e dalla comunità internazionale, va ammesso, sono forse lacrime di coccodrillo.