di Caterina Mangia

Donne abusate, violentate, vittime di femminicidio. E ancora, pari opportunità negate, difficile conciliazione vita-lavoro, gap retributivo rispetto agli uomini.
E’ tuttora troppo difficile il mestiere di “essere donna” nell’Italia di oggi, così come sono ancora troppe le questioni aperte. Oggi la politica ha tentato di rispondere al tema con due appuntamenti: in mattinata a Palazzo Montecitorio si è tenuto il convegno “La ripresa è donna”, introdotto dal Presidente della Camera, Laura Boldrini; intorno alle 13, al Senato, si è svolta l’audizione con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e Ugl presso la Commissione Parlamentare d’Inchiesta contro il Femminicidio.
Il quadro emerso dal convegno della mattinata ha rappresentato la conferma di una situazione ormai tristemente nota, a partire dalla tematica occupazionale: «le cifre ci dicono che ancora oggi solo il 49,1 per cento delle donne lavora nel nostro Paese», ha spiegato Boldrini, la quale ha aggiunto che «siamo ancora 13,2 punti in percentuale sotto la media europea», ovvero «penultimi, seguiti solo dalla Grecia».
Dati alla mano, soltanto una donna su due lavora, e chi lo fa il più delle volte paga un caro prezzo, facendo fronte a difficilissimi “acrobatismi” tra la vita lavorativa e quella familiare: «ci sono tanti sacrifici per conciliare lavoro e vita domestica, perché ancora oggi questa parte di vita si considera quasi una prerogativa femminile, dunque essenzialmente sulle spalle delle donne».
«Il divario di genere – ha osservato la terza carica dello Stato – si fa sentire nell’accesso al lavoro, nelle retribuzioni, a parità di mansioni, nelle pensioni, nel sovraccarico di lavoro domestico sulle spalle di donne, nella qualità degli incarichi di lavoro, nonostante il fatto che le donne siano più istruite degli
uomini».
Il secondo appuntamento della giornata è stato dedicato all’ancor più spinoso tema della violenza nei confronti delle donne: i fatti di cronaca rendono evidente che viene fatto troppo poco per contrastare il fenomeno. In particolare, secondo l’Ugl, è al Sud che non si fa abbastanza. Il documento presentato dal sindacato nel corso dell’audizione contiene una precisa denuncia sulla ripartizione delle risorse per i Centri anti violenza e le case rifugio, che segue un criterio puramente matematico, penalizzando i territori più “poveri”: «Tanto maggiore è il numero dei centri presenti nell’ambito di ogni Regione – si legge in una nota del Segretario Confederale Ugl, Ornella Petillo -, tanto più elevata è stata la quota alla stessa assegnata».
La conseguenza è che vengono sfavoriti i territori più disagiati e carenti di strutture di accoglienza e prevenzione della violenza di genere: principalmente, «le regioni del Sud d’Italia che negli anni 2010-2014 hanno manifestato il più alto rischio di femminicidi».