di Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La politica dei bonus portata avanti da Renzi – ed ora riproposta dal suo successore e collega di partito Gentiloni – ha rappresentato uno sperpero di denaro pubblico, a debito, mentre sarebbero stati necessari veri investimenti per la ripresa. Su questo Monti ha ragione, ma, nonostante gli attriti fra i due – ieri l’ultima di una serie di esternazioni di Monti contro Renzi, alle quali il segretario del PD ha replicato in diverse occasioni – il disegno politico a fondamento degli esecutivi che si sono succeduti dal 2011 in poi, non sembra al dunque molto diverso. L’unico discrimine: il primo, un tecnico, procedeva verso riforme ultra-liberiste pensando di risanare l’economia del Paese attaccando il welfare e la classe media, lavoratori e pensionati senza concedere nulla, i successivi, politici, hanno proseguito sulla stessa strada aggiungendo qualche bonus a debito per ingraziarsi qualche consenso. Il senatore a vita sarà ricordato come l’alfiere dell’austerity, con il suo governo tecnico fautore di una serie di riforme fra cui quella sulle pensioni, targata Fornero, di cui ancora oggi paghiamo amaramente le conseguenze e che proprio in questi giorni il Governo Pd continua a difendere strenuamente. Un sistema pensionistico che rappresenta una trappola senza fine, comportando sacrifici sempre più insostenibili per i lavoratori in età da pensione e nel contempo bloccando l’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani, che invece dovrebbero essere lavoratori attivi e quindi contribuire al sistema pensionistico stesso. La seconda tra le riforme del Governo Monti, sempre intestata all’allora Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, è quella del lavoro, di cui il successivo Jobs Act non è che il completamento, con la prima riforma che aveva già ridotto in modo rilevante l’applicazione dell’articolo 18, anche in caso di licenziamento per motivi economici, lasciando comunque al giudice la facoltà di imporre il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Ora, invece, dopo il Jobs Act neanche questa possibilità esiste più, con l’estensione dell’indennizzo a quasi tutte le fattispecie di licenziamento, ed il reintegro limitato a casi marginali e difficilmente dimostrabili da parte dei lavoratori. Cambiano i musicisti e avvolte si azzuffano a favore di telecamere, ma la musica di fondo non cambia. Ora sembra tramontata la stella di Renzi e gli affondi di Monti paiono un’ulteriore conferma del fatto che a breve si cercherà di proporre ai cittadini italiani di nuovo la stessa musica con un cambio di interprete cercando di far dimenticare a chi appartengano le scelte che tanto sono costate ai lavoratori, alle piccole aziende sempre più schiacciate dalla crisi, ai giovani che continuano ad emigrare, ai pensionati e a quelli che in pensione vorrebbero andarci.