di Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

 

Le esigenze delle donne possono aspettare. Nell’ambito del dibattito sull’aumento dell’età pensionabile, il rapido accantonamento della questione dell’anticipo pensionistico riservato alle lavoratrici con figli rappresenta un’occasione mancata. Al di là delle dichiarazioni di rito «politicamente corrette» e degli storpiamenti al femminile di cariche e professioni, il fatto chiarisce quanto il Governo abbia realmente a cuore – ben poco – le esigenze concrete delle donne in generale e delle donne che lavorano in particolare. Il quadro è quello dell’aumento dell’età richiesta per andare in pensione, che a partire dal primo gennaio 2019 dovrebbe arrivare a quota 67 anni, rispetto agli attuali 66 e 7 mesi. Già oggi l’Italia ha una soglia d’età per la pensione molto più alta della media Ue, quattro anni in più, e con l’eventuale innalzamento dovrebbe arrivare in pole position. Il leitmotiv è sempre lo stesso: dobbiamo risparmiare. Governo, Commissione europea, Bankitalia e Inps non hanno dubbi, per risparmiare bisogna fare economia sui lavoratori. Occorre, a quanto dicono, continuare a lavorare finché sarà necessario. Nonostante gli evidenti limiti posti dalla natura umana, nonostante il fatto che, con l’età che avanza, purtroppo sorgono condizioni fisiche e di lucidità mentale non ottimali per lo svolgimento delle varie attività lavorative, a scapito anche della propria ed altrui salute e sicurezza. Nonostante la necessità di inserire i giovani, sempre più spesso costretti ad emigrare, nel mercato del lavoro. Persino nonostante il fatto che questa riforma così gravosa e incidente nella vita delle persone non sarà comunque sufficiente a rimettere ordine nei conti, dal momento che il rapporto fra occupati e pensionati, a causa della crisi, della disoccupazione e della sotto-occupazione è sempre più sfavorevole. Unica concessione, allo stato attuale dei fatti, una deroga su quindici tipologie lavorative giudicate «particolarmente gravose». Una concessione francamente insoddisfacente, anche se le categorie dovessero ampliarsi e nonostante la proposta di calcolo biennale della speranza di vita: è l’impianto stesso della riforma ad essere estremamente oneroso per i lavoratori senza neanche riuscire ad apparire economicamente risolutivo. E soprattutto è particolarmente deludente il rapido accantonamento della richiesta di assegnare un anticipo sull’età pensionabile alle lavoratrici madri. Una battaglia che l’UGL porta avanti da anni con convinzione e che avrebbe consentito, almeno in parte, di riconoscere finalmente la dimensione sociale della maternità e di ricambiare il grande sforzo in termini di cura dei figli e delle famiglie che, in assenza di un welfare adeguato, continua ad essere sostenuto quasi esclusivamente dalle donne, spesso a scapito della propria crescita professionale e quindi economica.