di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ma insomma che Paese è mai quello in cui viviamo, se il giovedì scopriamo che gli anziani stanno male, mentre il giorno seguente sono i giovani a soffrire le pene dell’inferno per il lavoro che manca? È un Paese, il nostro, nel quale sono evidentemente venuti meno i fondamentali del vivere sociale. Come è possibile che quasi il 40% dei pensionati percepisca un assegno pensionistico inferiore a mille euro? E che, addirittura, al Sud le pensioni siano inferiori del 13% rispetto al resto d’Italia? Perché appena una dozzina di giovani su cento ha trovato una occupazione attraverso un canale istituzionale, mentre il 40% ci è riuscito sfruttando un canale informale, il parente, l’amico o il conoscente? Serve indignarsi per tutto ciò, ma non è sufficiente; occorre capire cosa non funziona per cercare di cambiare il corso degli eventi. Questi anni sono figli di un approccio che si sta rivelando fallimentare. Sono stati compiuti troppi errori – si pensi, ad esempio, alla frettolosa e dannosa riforma Fornero delle pensioni, ma anche ad alcune decisioni prese dalle aziende; come non ricordare il tentativo di Fiat di diversificare la produzione, marginalizzando l’automotive, cosa che ha portato la Casa torinese vicina a sparire, salvo poi ributtarsi sul proprio core business e tornare ad essere competitiva – e troppe situazioni sono state trattate con superficialità. Premesso che la bacchetta magica esiste soltanto nei romanzi fantasy e nelle loro trasposizioni cinematografiche, al Paese serve il contributo di ognuno, ciascuno per il proprio ruolo. Il Governo mostri coraggio, prenda le posizioni che reputa migliori, saranno poi i cittadini a decidere come votare. Il Parlamento lasci, almeno per un momento, da parte polemiche sterili su argomenti che non appassionano il Paese reale che vive altri problemi rispetto a quelli che troviamo spesso sulle prime pagine dei giornali o nei cosiddetti trend topic delle notizie più commentate sui social. Le aziende comprendano finalmente l’ineluttabilità di due cose: che la ricerca spasmodica del massimo profitto a lungo andare finisce per distruggere l’essenza sociale del fare impresa; è sufficiente guardare cosa è successo al sistema creditizio, quando si è iniziati ad inseguire la perfomance, lasciando in secondo piano il sostegno allo sviluppo del territorio e la tutela dei risparmiatori. E che, ed è questa la seconda cosa, soltanto un rinnovato patto fondato sulla partecipazione dei lavoratori può ridurre i rischi di decisioni strategiche poco ponderate. I sindacati, infine, comprendano che non è il luogo e l’ora di ragionamenti da piccolo cabotaggio, da salviamo il salvabile del nostro piccolo orticello. Il sindacato ha la possibilità di tornare ad essere protagonista attivo e vero, purché abbia la voglia di mettersi in gioco, uscendo da schemi consunti che hanno fatto il loro tempo.