di Fiovo Bitti

La notizia è di quelle destinate a fare rumore: la Corte di Giustizia europea chiarisce che gli Stati membri possono vietare la coltivazione degli organismi geneticamente modificati (Ogm) nel solo caso in cui sia evidente l’esistenza di un rischio per la salute umana, animale o per l’ambiente; conseguentemente, non è possibile per gli stessi adottare misure emergenziali di stop alle coltivazioni. La sentenza è arrivata su un ricorso che alcuni coltivatori italiani, ai quali il nostro governo nel 2013 aveva intimato di non procedere ulteriormente alla coltivazione del mais geneticamente modificato, individuato con la sigla MON 810. La vicenda, della quale si parlò sugli organi di informazione in quelle settimane, destò grande scalpore: nonostante il divieto, alcuni agricoltori decisero di seminare ugualmente i propri campi, con il risultato di essere denunciati. Un duro contenzioso che approdò nelle aule di giustizia, con annesso un forte carico di polemiche fra contrari e a favore degli Ogm. Trattandosi di una materia relativamente nuova, fu lo Tribunale di Udine, nel corso del procedimento penale, a sollevare la questione. La domanda, alla quale oggi la Corte di Giustizia europea ha dato una risposta è se un governo di un Paese membro dell’Unione europea può, in materia alimentare, adottare misure di emergenza sulla base del principio di precauzione. A distanza di qualche anno, l’organismo comunitario mette per iscritto che la tutela della salute umana ed animale e gli interessi dei consumatori devono essere contemperati, tenendo altresì conto della libera circolazione degli alimenti e dei mangimi sani e sicuri, per cui né la Commissione né gli Stati membri hanno la facoltà di adottare misure di emergenza drastiche, come, appunto, lo stop alla coltivazione. È evidente, al di là delle singole convinzioni, che tale decisione è destinata a pesare non poco su quei Paesi, in primis l’Italia, caratterizzati da una spiccata biodiversità. Sarà la ricerca scientifica a testare la salubrità o meno di un prodotto geneticamente modificato; di certo, però, la riduzione ad unicum – in questo caso del mais, ma in futuro è possibile anche per altri prodotti – finirà per portare nocumento alla stessa filiera dell’agroalimentare: se il mais è lo stesso per tutti, si perderà la caratteristica propria delle singole paste, con una ricaduta anche culturale.