di Claudia Tarantino

La spesa sanitaria nel 2016 è arrivata a 37,3 miliardi di euro, ma è sostenuta in grandissima parte direttamente dalle famiglie.
E’ quanto emerge dal settimo Rapporto RBM-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata, presentato in occasione del Welfare Day 2017 con il patrocinio del Ministero della Salute.

Sono tre gli aspetti più importanti che la ricerca mette in evidenza.

Innanzitutto, “il nostro Paese continua ad avere una spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil inferiore a quella di altri grandi Paesi europei”. Da un facile raffronto dei dati, infatti, si nota come in Italia sia pari al 6,8% del Pil, mentre in Francia e in Germania si arriva all’8,6 e al 9%.

Investimenti pubblici inadeguati nel settore portano a tutta una serie di problematiche ed inefficienze di cui la più nota è certamente quella delle liste di attesa, sempre più lunghe, che rendono ulteriormente difficoltoso l’accesso al sistema pubblico di cura e assistenza, con differenze marcate nelle diverse aree del nostro Paese.

I dati raccolti dal Censis, infatti, indicano che “per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva in media a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni (6 giorni in più rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono mediamente 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (6 giorni in più rispetto al 2014), ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni (8 giorni in più rispetto al 2014), ma sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (8 giorni in più rispetto al 2014), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (18 giorni in più rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni al Sud”.

Se questi esempi non fossero ancora sufficienti a rendere l’idea di quanto il nostro Sistema Sanitario Nazionale sia in affanno e di quanto poco incisive siano state finora le riforme mirate ad invertire questa rotta, c’è il terzo aspetto del Rapporto RBM-Censis che rende bene l’idea: sono aumentate (fino a 12,2 milioni) le persone che nell’ultimo anno “hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente)”.

Dove non arriva il sistema pubblico, infatti, tocca al cittadino pagare di tasca propria le cure di cui necessita. Non sempre, però, ciò è possibile e, quindi, per ragioni principalmente economiche, o si finisce per rimandare le prestazioni che, seppur non urgenti, hanno comunque una grande importanza in termini di prevenzione, o addirittura a privarsene del tutto.

Moltissimi italiani si trovano ad affrontare enormi difficoltà economiche e una riduzione del tenore di vita per far fronte a spese sanitarie irrinunciabili e tra di essi, c’è anche chi ha dato fondo a tutti i propri risparmi e si è indebitato con le banche pur di ‘salvarsi la vita’.

Per il Censis, “il miracolo del recupero di sostenibilità finanziaria del servizio sanitario di tante Regioni ha impattato sulla copertura per i cittadini”.
Un impatto che sta portando man mano a conseguenze gravissime. Non tutti riescono a sostenere le spese per cure e farmaci, anzi, in un Paese in cui l’indice di povertà assoluta è in continuo aumento, sono sempre più numerose le persone che non riescono nemmeno a pagare i ticket per le prestazioni pubbliche, figuriamoci le visite private.