di Annarita D’Agostino

Disoccupazione “più estesa” di quanto indichino i dati e una ripresa dell’economia “leggermente irrobustita” rispetto a quanto previsto: è la congiuntura economica, preoccupante, illustrata dal dossier dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio.
“L’area di sotto-utilizzo delle forze resta ampia e sostanzialmente più estesa di quanto indicano i dati della disoccupazione” scrive l’organismo nel suo report, sottolineando come l’occupazione sia cresciuta nei primi mesi dell’anno “grazie al sensibile incremento dei lavoratori con contratti a termine”, pari all’8,6% a fronte di una crescita degli occupati stabili di appena lo 0,7%, “complice il venir meno della decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato”.
Viene da chiedersi: cosa pensava il Parlamento italiano quando ha approvato il Jobs Act? Evidentemente non quello che il sindacato aveva previsto, e che si è puntualmente verificato con la fine degli incentivi alle imprese: l’ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro, con la scomparsa del vero contratto a tempo indeterminato e il rafforzamento delle fragilità strutturale del nostro sistema occupazionale.
Sommando alla forza lavoro potenziale la disoccupazione e i sotto-occupati (che sono pari a circa 800 mila persone che lavorano un numero inferiore di ore rispetto a quelle desiderate), nel primo trimestre dell’anno l’Upb ha rilevato un tasso di sotto-utilizzo del lavoro pari al 24,5% del bacino complessivo di forza lavoro. E il sotto-utilizzo “tende a comprimere le pressioni salariali” contribuendo, insieme all’indebolimento del petrolio e all’apprezzamento dell’euro, al galleggiamento dell’inflazione a livelli bassi. In tale contesto, è evidente che l’incremento stimato del Pil, tra l’1,2 e l’1,3%, non è sostenuto da una ripresa solida.
A tutto ciò si aggiungono altri fattori di debolezza. L’andamento della Pil nominale, “variabile cruciale per la sostenibilità dei conti pubblici”, è “sostanzialmente lontana dalla stima ipotizzata dal Governo nel Def per l’intero 2017 (+0,5% la crescita acquisita dopo il primo trimestre, contro un obiettivo programmatico del 2,3%)”. Il Pil nominale misura infatti il valore dei beni e servizi prodotti considerando anche le variazioni dei prezzi, mentre quello reale tiene conto solo delle quantità. Inoltre, l’espansione dell’export italiano, grazie allo slancio del commercio mondiale, è stata accompagnata da una ripresa “ancora più forte” delle importazioni, e dunque la domanda estera ha dato un contributo negativo alla variazione del Pil. Infine, l’Upb rileva che i segnali positivi dalla produzione industriale manifestano tuttavia “un’evoluzione non uniforme”. E non aiuta la ripresa il contesto di forte incertezza in cui si muove il Paese, sul quale hanno influito le scelte degli ultimi governi, avallate dal Parlamento.