di Claudia Tarantino

Il numero uno dell’Inps, Tito Boeri, questa volta accende i riflettori sulle prestazioni erogate all’estero e fa i conti in tasca ai pensionati italiani che hanno deciso di trasferirsi in altri Paesi, molto probabilmente attirati non solo dal clima o dallo stile di vita, ma anche da regimi fiscali meno penalizzanti del nostro.
Sentito ieri dal Comitato permanente sugli italiani nel mondo alla Camera, infatti, Boeri ha spiegato che l’Istituto paga all’anno “poco più di 1 miliardo di euro per le pensioni all’estero”, più precisamente 373.265 in circa 160 Paesi. La maggior parte di questi ex lavoratori, però, “ha versato contributi per pochi anni: più di un terzo delle pensioni pagate a giugno del 2017 hanno periodi di contribuzione in Italia inferiori a 3 anni, il 70% è inferiore ai 6 anni e l’83% ai 10 anni”.
A ciò si aggiunge quella che Boeri considera “un’altra anomalia” del sistema e cioè il fatto che i beneficiari di questi trattamenti pensionistici possono accedere anche “a prestazioni assistenziali quali le integrazioni al minimo o la quattordicesima” creando così un gap “tra l’entità e la durata dei contributi e la possibilità ad accedere a delle prestazioni che vanno molto al di là dei contributi versati”.
Insomma, ciò che non va proprio giù al presidente dell’Insp è che “malgrado i limiti posti dalla normativa nazionale e internazionale, annualmente si versano a soggetti residenti all’estero integrazioni al trattamento minimo e maggiorazioni che costituiscono un’uscita per lo Stato italiano e che non rientra nel circuito economico del nostro paese sottoforma di consumi”.
Ecco perché vorrebbe “sviluppare un progetto di raccolta di informazioni insieme all’Agenzia delle Entrate per aumentare il bagaglio conoscitivo sulla posizione netta, fiscale, dei residenti all’estero e dei percettori di prestazioni Inps”.
Però, prima che si imbarchi in questa una nuova ‘caccia alle streghe’ per giustificare, con un nuovo capro espiatorio, il mancato funzionamento del sistema previdenziale dell’Inps, forse sarebbe il caso di ricordare al presidente Boeri che molti di quei pensionati italiani che vivono all’estero, non si sono trasferiti per ‘fargli un dispetto’ o per ‘beffare’ i sistemi previdenziale e fiscale del nostro Paese.
In molti, infatti, negli anni passati si sono visti costretti a lasciare la propria terra in cerca di un lavoro che qui non riuscivano a trovare e – come ha ricordato il dirigente confederale dell’Ugl, Nazzareno Mollicone, – hanno contribuito “con le loro rimesse in denaro a migliorare la situazione valutaria nazionale, oltre che ad alleviare i disagi delle proprie famiglie”.
Da come è stata posta la questione, sembra quasi che i pensionati italiani residenti all’estero stiano approfittando delle casse dell’Inps per pagarsi le vacanze.
Viene trascurato del tutto il fatto che proprio grazie al lavoro svolto nel corso della loro vita queste persone hanno acquisito dei diritti e, tra questi, c’è anche il trattamento previdenziale.
L’analisi su svantaggi e benefici dei vari sistemi pensionistici, retributivi o contributivi, non può certo far ricadere sui pensionati responsabilità che non gli appartengono, altrimenti bisognerebbe chiedersi quale colpa hanno commesso i pensionati che hanno avuto la ‘stangata’ della riforma Fornero e che, quindi, sarebbero più di tutti incentivati a trasferirsi all’estero, quantomeno per mantenere un tenore di vita che l’Italia non è più in grado di garantire.