di Annarita D’Agostino

Il Sud non riesce a trovare la direzione della ripresa e continua a galleggiare trascinato dalla corrente: secondo il check-up di metà anno realizzato da Confindustria e Srm, il centro studi di Intesa San Paolo, la crescita modesta del numero di imprese (+0,5%) e del Pil (+0,9%) non riescono a riportare gli indicatori economici sopra i livelli pre-crisi. Unica eccezione, l’export. Ma la disoccupazione, in particolare giovanile, resta a livelli emergenziali.
Secondo il report, la crescita del Pil è trainata dall’industria in senso stretto, il cui valore aggiunto è cresciuto nel 2016 del 3,4%, 2 punti in più della media nazionale. Il numero di imprese attive è aumentato di 8mila unità nei primi tre mesi dell’anno, con un picco per le start up innovative (+29,1% nel primo trimestre 2017 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Più di 1000 imprese hanno costituito reti sul territoriale.
Ma le nuove imprese non creano nuova occupazione: il tasso di disoccupazione è al 21% ed è in crescita per effetto dell’aumento delle persone che si rimettono in cerca di lavoro, mentre quella giovanile raggiunge il 56,3%, il doppio rispetto alle regioni del Centro-Nord. Per Confindustria “si tratta di un campanello d’allarme che non va trascurato, soprattutto in considerazione dei numeri rilevanti perduti durante la crisi, solo parzialmente recuperati, e tenuto conto dell’incentivo per le assunzioni a tempo indeterminato di cui beneficiano, nel solo 2017, le imprese localizzate nelle regioni meridionali”.
Altrettanto preoccupante il livello dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: sono 1 milione e 800mila al Sud, più della metà del livello nazionale, e di questi 800mila non hanno neppure un titolo di studio. “Al Sud più ancora che al Nord, dunque, un intervento per favorire l’accesso dei giovani al lavoro è decisivo e non più differibile” sostiene Confindustria.
Eppure le opportunità di impiego non mancano, soprattutto in settori chiave come il turismo e la cultura: “cresce, infatti, la presenza dei turisti stranieri nelle regioni del Mezzogiorno – sottolinea il check-up -, che supera i 10 milioni di unità, e la loro spesa, che supera i 3,6 miliardi di euro, anche grazie ad una performance di porti ed aeroporti meridionali che si mantiene positiva. Ad attrarre i visitatori è anche l’ingente patrimonio museale ed archeologico meridionale che ha fatto registrare oltre 10 milioni di visitatori nel 2016, con un incremento degli introiti di quasi il 19%”. Ma di questa crescita non si avverte l’effetto nei territori, che pure hanno potenzialità da sfruttare.
Secondo gli imprenditori “l’accelerazione dei processi di crescita è necessaria all’economia del Mezzogiorno per recuperare rapidamente il terreno perduto” e sono tre le sfide principali da vincere: favorire la natalità delle imprese, sostenerne il rafforzamento, la crescita dimensionale, l’innovazione e l’internazionalizzazione, far crescere la quantità e la qualità della spesa per investimenti pubblici. Tutto ciò nell’ottica di rilanciare le economie locali, traguardo che può essere raggiunto solo attraverso una vera valorizzazione delle professionalità e la creazione di occupazione stabile, perché più occupazione vuol dire più consumi e più ricchezza in circolo. Vuol dire crescere, davvero.