di Claudia Tarantino

Fallita la ricerca di un posto di lavoro – che di questi tempi, purtroppo, è lo scenario più realistico con cui fare i conti – mettersi in proprio diventa forse l’unica strada percorribile per le donne che, per aspirazione o per necessità, decidono di rimboccarsi le maniche.
Ecco spiegato, quindi, come mai le aziende al femminile – come emerge dallo studio realizzato da Censis e Confcooperative – crescono più della media del sistema imprenditoriale, in particolare nelle aree metropolitane del Sud, dove le donne contribuiscono significativamente al reddito familiare, soprattutto quando gli uomini, con la crisi di lavoro che c’è, fanno difficoltà a sbarcare il lunario.
Non deve stupire perciò che siano Reggio Calabria, Catania e Palermo “le regine delle nuove imprese rosa” che, tra l’altro, si stanno affermando in ambiti fino a qualche anno fa presidio esclusivo, o quasi, delle imprese al maschile, come quello energetico e delle costruzioni.
“Su un totale di 6 milioni e 74 mila imprese registrate, – si legge ne report – il 21,8% (1,32 milioni) è guidato da donne. Fra il 2014 e il 2016 l’incremento delle imprese femminili è stato dell’1,5%, il triplo rispetto alla crescita del sistema imprenditoriale, che non è andato oltre lo 0,5%”.
Inoltre, dalla ricerca emerge anche che le imprese delle donne trovano nella cooperazione il loro habitat economico preferito. Le imprese cooperative femminili, infatti, “crescono del 4,1% in due anni (superando la soglia delle 30mila unità nel 2016)” e arrivano a rappresentare il 21,1% del totale.
Grazie anche agli sviluppi delle tecnologie della comunicazione e ai costi decrescenti nell’avvio di un’attività imprenditoriale o autonoma, le donne imprenditrici in Italia nel 2016 sono pari a 51mila contro i 184mila imprenditori uomini.
Naturalmente, se si osserva il tasso di occupazione, si trova ancora una divergenza di quasi venti punti percentuali tra i due sessi (66,9% degli uomini contro il 48,5% delle donne a maggio di quest’anno), ma è innegabile “una forte volontà di partecipazione e di inserimento da parte della componente femminile”.
L’analisi sottolinea un altro aspetto importante di questo “nuovo protagonismo femminile” che vede le donne primeggiare in segmenti delle attività economiche tutt’altro che marginali e in professioni che non possono certo dirsi in declino. “Considerando nell’insieme la performance decennale dei tre segmenti principali dell’occupazione indipendente (imprenditori, lavoratori in proprio e liberi professionisti), è evidente la tenuta della componente femminile, che cresce nonostante tutto di 71 mila occupate, mentre quella maschile accusa un ridimensionamento di oltre 300mila unità”.
Ma attenzione, da qui a dire che “le donne guidano la ripresa” ce ne vuole perché, anche se è la componente maschile a risultare maggiormente penalizzata, i dati parlano comunque della perdita di circa 400 mila posizioni lavorative, che non sono affatto poche.